Un mercato guidato dai tweet

Un mercato guidato dai tweet

giovedì 21 novembre 2019, 2 commenti

Il mese di novembre sta procedendo all’insegna dei forti rialzi, sia sui principali indici americani, che continuano ad aggiornare i massimi storici, sia su quelli europei, ai livelli maggiori degli ultimi 12 mesi.

Da un lato, si tratta di un andamento che non stupisce. Guardando alle serie storiche, novembre è da sempre caratterizzato da performance positive: l’S&P 500 tende ad apprezzarsi mediamente dell’1,51% durante il mese (+3,72% se la barra mensile è positiva, -3,06% se negativa). Dal 1950 il 68,12% dei mesi di novembre è positivo per l’indice. Ma dall’altro, il contesto di mercato è tutt’altro che chiaro: non c’è ancora una soluzione per la guerra commerciale tra Usa e Cina, a Hong Kong non si vedono segnali di uscita dalla crisi e la situazione sulla Brexit è tutto fuorché risolta. I punti interrogativi restano numerosi e il mercato sembra essere in balìa dei tweet del Presidente Usa, Donald Trump. L’ultimo esempio lo scorso 18 novembre: con i mercati pronti a ritracciare, il tycoon ha di fatto permesso a Wall Street di azzerare le perdite dichiarando di aver avuto “un incontro molto buono e cordiale” con il chairman della Federal Reserve (la precisazione dell’istituto centrale, che ha evidenziato come nell’incontro non si sia parlato di politica monetaria, è ovviamente passata in secondo piano). Guardando il tutto da un punto di vista più operativo, la salita verticale dei mercati non andrebbe contrastata, se non tramite strategie di scalping utilizzando uno stop loss stretto. Al momento, sembra che il mantra “trend is your friend” stia lavorando particolarmente bene per gli operatori rialzisti. In questo quadro, sull’S&P 500 il rialzo ha una struttura simile a quella del 2017, dove i massimi storici venivano aggiornati giorno per giorno: il risultato? Una violenta correzione a inizio 2018, che ha portato l’anno a chiudere in negativo.

*Fonte dati:

Bloomberg Finance L.P. 

 

 

Trader view: il commento di Tony Cioli Puviani

Il debito pubblico americano alle stelle

S&P 500 - Performance a 2 anni
Fonte: Bloomberg Finance L.P.
Bill Gates batte Jeff Bezos e si riprende il titolo di paperone mondiale. Il fondatore di Microsoft, secondo l’indice dei miliardari di Bloomberg, vale 110 miliardi di dollari contro i 108,7 miliardi di Bezos. Al terzo posto Bernard Arnault con 102,7 miliardi. Sono patrimoni enormi! Se però pensiamo al deficit USA, che galoppa a 3 miliardi al giorno (sabato e domenica compresi), i tre miliardari prima citati vengono sminuiti: ogni mese che passa, l’incremento del debito USA corrisponde a circa 100 miliardi di dollari e tale progressione sembrerebbe voler aumentare. Il debito pubblico USA ha appena varcato la soglia dei 23.000 miliardi di dollari, chi comanda se ne infischia, perché fare altro debito non sembra più un problema!
Le politiche monetarie ultra-accomodanti, ingranaggi essenziali del processo di veloce indebitamento delle economie globali, soccorrono a delle necessità, dapprima chiamate straordinarie, oggi, invece, direi più che fisiologiche. In un mondo che va sempre più in fretta, dove chi governa è privo di lungimiranza e guarda miopemente solo alle prossime elezioni, le Banche centrali svolgono il loro ruolo aumentando artificialmente la domanda di asset obbligazionari dei debiti sovrani (e non solo), assopendo gli effetti naturali di un debito sempre più considerevole. Trump, che ha realizzato un importante taglio delle imposte per le imprese finanziandolo col deficit, ha migliorato gli utili netti delle imprese americane e grazie alle nuove politiche accomodanti della FED ed ai tre ultimi tagli di tassi, ha di fatto sostenuto gli indici principali delle borse azionarie, facendo raggiungere a Dow Jones, S&P e Nasdaq nuovi record storici assoluti.
Credo di non sbagliarmi se affermo che le politiche monetarie delle banche centrali, anche se rese quasi obbligatorie dalla condotta dei governanti, non facilitano certo la nascita di statisti al governo degli Stati, ma, anzi, agevolano i governanti stessi a mantenere condotte “sprecone”, potendo questi confidare del differimento degli effetti negativi dei deficit grazie all’attività delle Banche centrali. Secondo le logiche appena esposte Donald Trump ha avuto un ruolo determinante nella crescita straordinaria delle borse azionarie nel triennio in cui ha governato. La spiccata personalità del Presidente USA unita alla sua tracotanza ha radicalizzato l’opposizione politica. Un eventuale prossimo presidente democratico intraprenderebbe misure molto dolorose per i mercati: I micidiali rialzi di tasse proposti dalla Warren peserebbero sull’intero apparato produttivo.
Continuerebbe la politica di spesa pubblica ma non verso i settori della difesa, aereospaziale e dell’energia, ma verso il welfare con nei programmi un budget di spesa decuplo rispetto al costo del taglio delle tasse finora sostenuto. Le recenti sconfitte dei repubblicani in Virginia, Kentucky e Louisiana sono un campanello d’allarme importante. Le borse USA continuano a macinare record anche se Trump, in base al mercato inglese delle scommesse di Betfair.com, ha solo il 40% di essere rieletto.

 

AGENDA MACRO

Data
Appuntamenti in calendario
Giovedì 21/11 Dalla Francia verranno resi noti i dati relativi alla fiducia manifatturiera di novembre. Oltreoceano, le attenzioni si concentreranno sull’indice della fiducia commerciale elaborata dalla Fed di Philadelphia e sulle nuove richieste dei sussidi di disoccupazione.
Venerdì 22/11 Nel corso della mattinata verranno pubblicati i dati sul Pil tedesco del terzo trimestre (finale). Focus poi sui Markit PMI manifatturieri e dei servizi di novembre (preliminari) per Germania, Francia, Eurozona, Inghilterra e Usa. Negli Stati Uniti inoltre, focus sull’indice di sentiment elaborato dall’Università del Michigan (finale).
Lunedì 25/11 I riflettori saranno puntati in Germania, in particolare sulla pubblicazione degli indici IFO di novembre.
Martedì 26/11 Il focus sarà sugli Stai Uniti, dove verranno rese note le rilevazioni relative il mese di novembre sull’indice manifatturiero della Fed di Richmond e quello sulla fiducia dei consumatori elaborato dalla Conference Board.

 

 

 

 

Focus: Telecom Italia

Telecom Italia: i conti dei primi 9 mesi del 2019 sostengono il titolo

Lo scorso 7 novembre, Telecom Italia ha pubblicato i conti dei primi 9 mesi del 2019. Due i punti cardine del comunicato: il processo di riduzione del debito, risultato maggiore delle attese, e l’annuncio delle partnership con Google e Santander Consumer Credit. Secondo alcuni esperti, queste operazioni potranno creare valore per il gruppo, migliorando anche il ritorno sul capitale. Dei 25 analisti censiti da Bloomberg che seguono il titolo, 15 assegnano una raccomandazione “buy”, 5 “hold” e altri 5 valutano il titolo “sell”. Il target price medio a 12 mesi si attesta a 0,62 euro. In una recente intervista pubblicata su “Il Sole 24 Ore”, l’Amministratore Delegato dell’azienda, Luigi Gubitosi, ha confermato i target finanziari per il 2019, sottolineando che la priorità dell’ex monopolista è di ridurre l’indebitamento (che ammonta a 25 miliardi di euro).

Il manager ha specificato che con il completamento delle operazioni su Inwit e con la joint venture con Santander l’aggregato scenderà di altri 3 miliardi e grazie alla riduzione dei tassi d’interesse verranno risparmiati oneri finanziari per oltre 100 milioni di euro. In questo quadro, risulta interessante valutare le opportunità di investimento offerte dal Bonus Cap Certificate di Vontobel con ISIN DE000VE20CY7. Il prodotto presenta una Barriera (di tipo americano) a 0,425 euro, al di sotto dei minimi storici (22,86% dai livelli attuali), e un Cap a 0,56 euro. Se a scadenza, fissata per il prossimo 15 ottobre 2020, la Barriera non verrà toccata, il Certificato rimborserà all’investitore il valore nominale maggiorato di un premio del 4,52%.

 

Dai fatti agli effetti

Dazi Usa-Cina il driver principale per l’oro

Fatto
L’ottimismo sui mercati azionari e la forza del dollaro Usa hanno contribuito a far scendere il prezzo dell’oro. A pesare sulle quotazioni del metallo giallo è anche la sensibile diminuzione dell’ammontare di bond a tassi negativi (i due andamenti sono direttamente correlati). In generale, il focus principale è quello relativo alla guerra commerciale tra Usa e Cina: se da un lato c’è ottimismo sulla firma della “Fase 1”, i nodi principali (proprietà intellettuale, ad esempio) restano ancora da sciogliere, e un’eventuale “Fase 2” potrà essere foriera di tensioni sui mercati.
Effetto
Dopo aver toccato i massimi dal 12 aprile 2013, i prezzi dell’oro hanno iniziato a ritracciare fino a toccare i 1.445,70 dollari l’oncia, zona di transito della linea di tendenza che unisce i minimi dell’1 e 9 luglio 2019. In generale, segnali positivi verranno forniti con il superamento della trendline disegnata con i top del 4 e 24 settembre 2019, resistenza più importante per i corsi. Se questo livello venisse violato, l’obiettivo si attesterebbe in zona 1.517 dollari. Segnali negativi si avranno con una rottura di area 1.445 dollari: in tal caso, l’obiettivo dei venditori è individuabile con il test della SMA 200, a 1.395,66 dollari.

Oro - Performance Aprile-Novembre 2019
Fonte: Bloomberg Finance L.P.

 

 

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2 commenti

Remo Carabelli

24. novembre 2019 at 13:27

Buongiorno.

Sono interessato alla newsletter settimanale.

Grazie

Vontobel Certificati

25. novembre 2019 at 8:26

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